Vista da Wat Khao Tham, il monastero dove ho fatto il ritiro

Sono arrivato a Ko Phangan due giorni prima dell’inizio del ritiro. Anche se la notte precedente l’ho spesa comunque nel monastero di Wat Khao Tham, preparandomi fisicamente e mentalmente a quello che mi aspettava, ho avuto abbastanza tempo per l’esperienza catartica che mi ero prefisso, rivivere le tante piccole cose quotidiane di mesi vissuti qui e testare l’effetto che mi facevano ad anni di distanza.

Appena sbarcato al porto di Thong Sala ho affittato un scooter e mi sono fermato a mangiare nella panetteria a fianco un eccellente muesli, frutta e yoghurt, la colazione che ho imparato ad amare qui in Thailandia ed è diventata la mia colazione di ovunque.

Thong Sala mi è parsa familiare come se invece che 39 mesi da quando l’avevo lasciata, fossero passati solo 39 minuti. Sono andato verso l’alloggio che avevo adocchiato su internet, un bungalow a 350 baht a tre metri dal mare nel primo tratto di costa a nord del paese, vecchio ma rustico e con l’amaca sulla veranda, come piace a me. Peccato che dal pomeriggio fino a sera tardi al bar del resort abbiano messo su musica trance ad alto volume e la gente che lo frequentasse fosse del tipo “birra e sigarette”, il che mi ha sicuramente fatto addormentare non in modo pacifico, ma è valso la pena comunque stare lì per risvegliarsi all’alba, complice l’alta marea, col suono delle onde del mare.

Saranno state più o meno le due del pomeriggio quando ho cominciato il mio lungo giro in scooter per l’isola, a caccia dei fantasmi che si erano piazzati nella mia mente e nel mio cuore. Il passaggio davanti ad Ananda, il resort dove ho fatto l’esperienza di detox digiuno di 7 giorni e dove c’è la hall per gli studenti del 1° livello di Agama, è stato così rapido che quasi non mi ha lasciato traccia. A memoria me lo ricordavo più avanti nella strada e mi sentivo con troppa voglia di guidare per fermarmi. Al ritorno, ho pensato, o un’altra volta che non c’è mai stata.

Poco dopo ho incrociato Michaela, l’insegnante della mia prima classe in Agama, e “guressa” della scuola. Senza casco e con l’impressione un po’ ebete. In quella frazione di secondo ho sentito finalmente una volta per tutte che avevo preso la decisione giusta a non tornare, anche se per tutto questo tempo mi ero tormentato coi ripensamenti.
A Sri Thanu, il villaggio dove vivevo, oddio 300 metri di costruzioni in fila non credo facciano un villaggio, ho rallentato per riconoscere ogni casa, ristorante e negozio che erano diventati la mia quotidianità, ma senza imboccare nessuna strada laterale, nemmeno quella che porta alla casetta sul lago che è stata mia per 3 mesi.

Dove mi sono fermato un po’ è stato al Golden Rock, irriconoscibile. Nel resort che una volta ospitava gli studenti dei mesi avanzati di Agama e i suoi vari workshop, compreso il ritiro di meditazione che mi ha fatto cambiare idea riguardo alla mia permanenza sull’isola. Agama nel frattempo ha costruito le sue hall in un terrreno vicino, e i vecchi rustici bungalow di legno a 100 baht che davano sulla spiaggia sono stati abbattuti e al loro posto ci sono bungalow moderni, molto più belli, ma sicuramente anche più costosi. Sicuramente è questo il cambio più evidente che ho visto a Ko Phangan: fortunatamente è ancora anni luce lontana dallo sviluppo della vicina Ko Samui, ma il numero e la qualità degli alloggi sta cambiando in modo visibile e le comodità hanno un costo.

Ho proseguito fino a Chaluklom, la punta nord dell’isola dove c’era e c’è ancora un italiano che prepara un ottima pizza, e ho notato parecchi cartelli di “business on sale”. Evidentemente questo villaggio non ha avuto la fortuna di altre parti dell’isola. Da qui sono tornato indietro abbandonando la strada costiera per quella più rapida che taglia l’isola al centro. Ho provato l’ebbrezza di raggiungere i 100Km/h e mi sono fermato in una gelateria alle porte di Thing Sala che prepara un ottimo gelato artigianale nel cocco.

Tornato a Thong Sala ho fatto una sosta nel negozietto di prodotti organici dove mi rifornivo di polline d’api e sono andato a conoscere Wat Khao Tham, la sede del mio prossimo ritiro. Erano quasi le 5 e stava per arrivare il classico acquazzone pomeridiano quando finalmente era arrivato il tempo di concedermi il primo thai massage da non so quanto tempo. Avendo chiesto un massaggio forte e facendo notare di essere un collega, credo che la donna abbia voluto un po’ strafare. Certe volte era quasi violenta, ma fortutanamente il mio corpo può reggere certi shock e preferisco così che troppo blando.

Il tuffo nel passato l’ho completato con un piatto di squisiti pad thai al mercato di Thong Sala, prima di tornare nel bungalow a cercare di dormire nonostante la musica techno. Ah, mi ero dimenticato di dire che il giorno prima di partire e durante il viaggio fino all’imbarco sull’isola ero conciato piuttosto male per colpa della maledetta aria condizionata che mi causa più colpi di freddo e influenza che un inverno tibetano. Arrivato sull’isola e dopo il mio giretto mi sentivo magicamente guarito.

Sarà il quarzo delle sue montagne come dicono i locali, sarà il semplice fatto che lo sviluppo e l’inquinamento sono minimi, ma l’aria di questo posto ha davvero un potere risananante che chiunque può percepire, e non è un caso che quest’isola sia diventata un magnete per ricercatori spirituali, in mancanza di traduzione migliore per spiritual seekers, che in inglese suona meglio.

Anche stavolta mi sono sorpreso a notare come quest’isola ad ogni visita, ed era la mia quinta, mi offra una faccia nuova, un nuovo angolo da scoprire, una nuova atmosfera in cui immergersi. Chiamala vibe, tu chiamale se vuoi, vibrazioni, o chiamale come cazzo ti pare, ma c’è davvero qualcosa di magico a Ko Phangan, nonostante la marea di imbecilli che vedi in giro, tra tossici, sballati, alternativi e psicolabili, fortunatamente quasi tutti confinati ad Had Riin e dintorni, che non ho problemi ad ammettere e quel che mi ha portato qui per la prima volta.