Meditando nel Monastero di Tam Wua

Meditando nel Monastero di Tam Wua

Centro Vipassana Deganya Bet, 14 marzo 2015

Sono quasi le 15.30 del sesto giorno di ritiro, e sul finire di un’ora di intensa, straziante, sofferenza, che arriva al culmine di una sfibrante settimana, dove ogni tipo di dolore fisico mi ha assalito furiosamente ogni parte del corpo, all’improvviso arriva la quiete dopo la tempesta. Ma non è che ha smesso di piovere, semplicemente l’azione di acqua e vento è diventata irrilevante. O, fuor di metafora, non sono cessate le sensazioni corporali, ma hanno semplicemente smesso di creare la benché minima identificazione con me.

Consapevolezza ed equaniminità. Osservo il respiro che cerca di aprirsi un varco tra i crampi della pancia. Annotato. Sento quell’ago che si infila sotto la scapola destra e di solito mi procura un dolore lancinante e all’improvviso è solo una sensazione che pur senza perdere forza mi scivola via. Ma non è un’esperienza di quelle che vengono descritte come “fuori dal corpo”. La sento ben dentro di me, seppur allo stesso tempo è diventata “altro” da me.

Osservo la mia mente che prende nota di questi fenomeni e che e di solito si lancia in giudizi e elucubrazioni e improvvisamente non si fa comandare da nessun tipo di reazione. Neanche la mente mi appartiene. O meglio come il mio corpo, sono parte di me, ma entrambi li percepisco con la stessa distanza e padronanza con cui puoi guardare un tuo sogno lucido.

Ti è capitato di renderti conto che stai sognando, ma di lasciare andare il sogno come se stessi guardando un film? Ecco, più o meno è così, solo che in questo caso tutto avviene mentre sei completamente sveglio. Anzi ipersveglio, con le antenne dei sensi attive e sintonizzate su frequenze finissime che non pensavi potessi percepire.

Hai presente quelle manopole delle radio di una volta, quando cerchi di sintonizzarle sulla tua stazione preferita, e con il movimento più impercettibile che puoi da una parte e dall’altra sei già andato oltre? Di colpo la capacità di muovere e ricevere i suoni si è moltiplicata per mille e percepisci chiaramente ogni minima differenza.

Il ritmo vertiginoso con cui le sensazioni mi attaccavano il corpo, de repente sembra calare fino a praticamente fermarsi. Ma il film continua a essere proiettato alla stessa velocità, è la mia coscienza, se così vogliamo chiamarla, che riesce a cogliere ogni singolo fotogramma in dettaglio senza sforzo.

Ho già provato altre volte esperienze di questo tipo negli ultimi anni da quando pratico la meditazione, o in modo simile in gioventù sotto l’effetto di droghe. Ci sono attimi di smarrimento e forse spavento, ma sono per lo più momenti estatici, quegli “high” tanto esaltanti, quanto pericolosi e illusori.

Pericolosi in ogni caso, perché generano attaccamento, quel desiderio di cui è molto più difficile prendere le distanze rispetto alle cose brutte che ci generano avversione.

Illusori per chi sperimenta con sostanze stupefacenti o si ubriaca fino allo sbocco, perché presentano un conto ben salato: il giorno dopo sei uno straccio e a lungo andare sei sempre peggio, ma c’è stato un momento in cui ti sei sentito così bene, così vivo, così realizzato, che sei disposto ad andare in bancarotta, pur di tornare in quello stato.

Con la meditazione è diverso, perché a questi high ci arrivi in modo cosciente, senza aiuti esterni, e gli effetti positivi ti rimangono anche dopo che le sostanze chimiche esterne se ne sono andati dal tuo corpo.

Detto questo, siccome uscire dalle trappole che la nostra mente, in collaborazione con il nostro corpo con cui creano emozioni e fantasie per prendere il controllo di noi stessi, è molto faticoso, quasi impossibile fuori dall’esperienza del ritiro intensivo, quella spintarella a volte può essere utile.

Come i braccioli del bambino che impara a nuotare o il mettersi di fronte al muro le prime volte che si prova la posizione sulla testa nello Yoga: sono aiuti che si possono usare qualche volta all’inizio per farti capire cosa devi fare e cosa puoi provare, ma dai quali devi liberarti al più presto, altrimenti non andrai mai al passo successivo.

Questa esperienza delle 15.30 del sesto giorno è un passo successivo, perché in questa consapevolezza non c’è bisogno di sentimenti di euforia. Mi sento come Lucy quando il cervello si è attivato al 20%.

Meditate, gente. Meditate.

Ho riletto quel che ho scritto fino a qui e ho provato la sensazione di quando prendo appunti troppo in fretta e non riesco a leggere la mia scrittura. Se questo era nato come un articolo che invogliasse il profano a meditare, sto facendo un ottimo lavoro per farlo scappare.

E tra divagazioni, metafore azzardare e salti di pali in frasca, non vedo come un qualcuno che è stato nella mia testa, possa capirci qualcosa..ma non c’è problema. Anzi, è meglio così.

La meditazione è un’esperienza esistenziale, la cui intellettualizzazione o concettualizzazione, confonde solo le idee, che già di per sé, non sono altro che una confusione della realtà, che è sempre più complessa, e soprattutto in perenne cambiamento, che va oltre a qualunque delle menti più raffinate.

Per questo non ho mai avuto interesse a leggere libri sull’argomento, soprattutto quelli che descrivono come arrivare al Nirvana. Ma essendo che quello a cui sto partecipando non è un normale ritiro Vipassana, ma un ritiro focalizzato all’interpretazione del Sutipattana Sutta, un testo teorico in cui questi argomenti vengono analizzati nel dettaglio, l’esperienza che ho provato ha tutte le caratteristiche del primo stadio del Nibbana.

La prima regola del Fight Club è che non si parla mai del Fight Club. Quindi tutto quello che hai letto non ha veramente nulla a che fare con la Meditazione e il Nirvana. Quel che ho provato, chissà. L’autosuggestione e il desiderio sono capaci di produrre qualunque tipo di allucinazione e spacciartela come più reale del re. Ma. Però.

Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire, se non hai capito già.

Anche qualora non te ne fregasse niente della meditazione, perché le tue credenze religiose te la fanno temere come un qualcosa di sovversivo alla tua dottrina. O perché sei una persona semplice e pratica, che di queste menate non te ne è mai fregato niente. Insomma anche se come la maggior parte degli ignoranti di questo mondo, confondi la meditazione con religione o filosofia, dovresti fare lo stesso un ritiro di meditazione, perché ti cambia la vita.

E non fidarti di me: fidati del 99% delle persone che hanno provato, venendo da background e con esigenze più diverse.

Una settimana o dieci giorni senza parlare, senza distrazioni esterne a cui ci attacchiamo disperatamente per perpetuare l’illusione del nostro ego e del nostro io che siamo un qualcosa che ha importanza e non un aggregato di cellule che si rinnova di più del 90% nel giro di un anno.

Una settimana così è come fare il tagliando alla nostra macchina mente corpo e rimetterla a nuovo. Certo, dopo il lavaggio rimarranno delle parti sporche e usurate, e basteranno poche ore di utilizzo per farti sembrare perduti gli effetti del trattamento, ma i cambiamenti più profondi sono per fortuna ben più duraturi.

Meditate, gente. Meditate

La verità è che per me hai bisogno di uno psicologo. E se vivi tra Roma e Reggio Calabria, ti consiglio la Dottoressa Ilaria Rizzo, che recentemente si è aggiunta al selezionato gruppo di lettori e sostenitori dei viaggi di clach.

Izza, Izza, chi rizza appizza, si diceva ventanni fa, quando il concetto di marijuana teraupetica sembrava un delirio da tossici dei centri sociali.

Che si dice della meditazione oggi? Io dico che è fondamentale per la nostra sanità mentale.

(Se invece cerchi una sicologa e una travel coach, c’è sempre Lada Dietro.)