Milano, Parco di Trenno pieno di neve



Stanotte a Milano la temperatura dovrebbe scendere a -14. Dice che un’ondata di freddo così non si registrava dal 1956. Ora mi spiace per tutti quelli in condizioni difficile che devono soffrire questo freddo, ma io, pur con il naso che mi gelava, poche volte ho disfrutado di una passeggiata a Milano come quelle fatte ieri e oggi pomeriggio.

Il fatto è che ha nevicato per un giorno intero e la città è imbiancata. Soprattutto è imbiancato il Parco di Trenno, dove mia madre vive e sto dormendo in questi giorni. Ieri pomeriggio ho fatto una passeggiata per il Parco tra vecchi irriducibili che correvano e coppiette imbacuccate, passerotti che non so come sono sopravvissuti al freddo e volano di albero in albero, sciure che portavano il giro il cagnolino nel cappottino di cachemire, e lo chiamavano amore, il che mi faceva tenerezza, se no ridere. Normalmente mi farebbe sinceramente incazzare, ma nella magica ovattata atmosfera generale di ieri, non c’era spazio per cattivi sentimenti.

Il Comune o chi per loro ha fatto un bel lavoro: ha spazzato le strade interne nel Parco, in cui si può camminare senza rischi, ma attorno è tutto bianco immacolato. Gli alberi, normalmente spettrali di questa stagione erano incantevoli, così le panchine. Qua e là pupazzi di neve fatti da chissà chi. Il Parco di Trenno di ieri era un luogo di poeti e sognatori. Con la fantasia ho iniziato a volare e mi sono trasportato al Gorki Park di Mosca. Non ci sono mai stato e non ho idea di come sia fatto, forse un giorno scoprirò il motivo di questa associazione di pensieri.

Arrivato in fondo al rettilineo, sul lato del Parco da cui si vede bene il tetto dello stadio di San Siro, ho fatto marcia indietro per una strada interna che in questi giorni non avevo percorso. Il sole stava quasi scomparendo dietro le case e ho affrettato il passo, perchè il freddo era davvero pungente.

Oggi ho fatto un’altra camminata di un’ora e mezza, perdendomi in mezzo ai casermoni di case popolari tra Lampugnano e Molino Dorino. Molti marciapiedi erano scivolosi per il ghiaccio e ho camminato per lo più in strada o sulla neve fresca. Anche oggi era soleggiato e la faccia era gelata, nonostante avessi tirato fuori il cappello nepalese che è quasi un passamontagna. Il cappello e i guanti impermeabili, cimelio di quando ho lavorato alle Olimpiadi invernali di Torino 2006, sono gli unici attrezzi che mi sono rimasti: non ho più nè stivali nè scarpe da montagna, quelle che avevo ai piedi sono vecchi scarponcini con la suola consumata, né una giacca a vento.

Dovrei aggiungere che fino a dieci giorni fa vivevo in climi tropicali, con minime sui 20 gradi e sono tornato ammalato per un colpo di freddo preso ad Aruba per colpa dell’aria condizionata. Insomma, teoricamente sto freddo mi dovrebbe creare grossi problemi. Ma finora non posso che ringraziare, al ritorno a Milano dopo 14 mesi, di averla vista vestita così.