Ya no estoy aqui, Romagna. Ya no estoy aqui, Milano.
Ya no estoy aqui, Italia.
Ya estoy aqui de vuelta, San Cristobal de las Casas.
Città magica.
Ya no estoy aquì…
Avrei dovuto essere in qualche Stan, adesso. Kazakhstan, Kyrgyzistan, Uzbekistan, Antanistan, da qualche parte in Asia Centrale.
Annullato per pandemenza l’estate 2020.
Annullato per pandemenza l’estate 2021.
Invece sono di nuovo in Messico, uno dei pochi paesi quasi immune alla pandemenza. Di nuovo a San Cristobal de Las Casas, anche se una volta deciso di tornare in Messico, non avevo programmato di tornare qui.
Ma i nostri piani sono illusioni. Un imprevisto. Un volo perso, uno comprato all’ultimo momento, cercando la destinazione più economica.
E qualche giorno sono già diventate quasi tre settimane, e l’impegno a rimanere qui altrettante.
Messico, buona la terza
E’ la terza volta che vengo in Messico, ma di fatto la prima che vengo per rimanerci un po’.
La prima volta era l’inizio di un viaggio in Centro America, e il caldo umido insopportabile della Riviera Maya d’estate mi ha spinto in pochi giorni in Guatemala.
La seconda volta era la fine del viaggio, e le quasi due settimane a San Cristobal erano state fantastiche, ma il tempo era finito.
Stavolta sono venuto qui per rimanere un bel po’ e quindi è necessaria una immersione culturale nella realtà di questo grande paese, tra gli estremi turistici plastificati della Riviera Maya e quelli pittoreschi indigeni del Chiapas.
Così mi sono sparato le tre stagioni de El Chapo, il più temuto narco trafficante dell storia. E ho appena visto questo film:
Ya no estoy aqui
Ya no estoy aqui è un film del 2019, che narra la storia del movimento di cultura urbana che nacque negli anni 90′ a Monterrey, chiamato Kolombia.
La forte immigrazione colombiana di quegli anni nella terza città più grande del Messico fece conoscere ai giovani locali la cumbia e il vallenato del paese che internazionalmente è conosciuto soprattutto per la salsa di Cali.
Ne adottarono una versione, rebajada, ovvero rallentata, come quando il walkman (ma che ne sanno i 2000?) aveva le pile scariche.
Il film è un manuale di slang giovanile (wuey, a la verga, pinche cabron, plebe) e difesa identitaria che non si può definire un capolavoro, ma è chido y terrko e probabilmente offre un immagine più reale del paese del tanto acclamato Roma di Cuaron.
San Cristobal, pueblo magico
Il giorno che sono tornato a San Cristobal, era quello seguente alla vittoria calcistica agli Europei, ma anche purtroppo all’omicidio di Michele Colosio, un italiano che viveva in questa città da una decina d’anni.
A sentire chi vive qui, da un paio d’anni quella che era un oasi di pace e multiculturalità al centro della più forte cultura indigena del Centro America, ha perso un po’ di sicurezza per colpa dei narcotrafficanti che hanno iniziato a invadere le zone circostanti.
Sinceramente, questo non si avverte nella quotidianità.
C’è tanta povertà e disperazione che si riflette nelle lunghe file delle popolazioni indigene in attesa del sussidio statale e nei bambini che girano vendendo di tutto per racimolare pochi spicci, in quella che rimane probabilmente la città più economia del Centro America. (per la gioia del noto taccagno clach).
Ma il centro pullula di gente fino a tarda notte, ci sono eventi di tutti i tipi a ogni ora del giorno, dai corsi alla musica dal vivo, alla varietà di ristoranti tipici ed etnici, che si sostengono grazie al numero di viaggiatori che è rimasto decente.
E una bell’atmosfera, che rimane davvero magica e non ti uccide il mood.
Soprattutto, qui la gente locale ha un sano scetticismo storico e problemi reali più importanti che collaborare al teatro pandemico, per cui il cubreboca si fa finta di indossare solo nei grandi centri commerciali o negli aeroporti, nonostante un obbligo teorico.
Qualche covidiota studiato semicolto in giro si vede, ma quanto è rinfrescante vedere che è l’eccezione e non la regola?
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