Non è più il Cabo de la Vela di una volta



3.00: Finalmente il generatore di energia smette di funzionare e di fare un casino assordante. I muri della stanza al posto dell’amaca all’aria aperta e una notte di assuefazione lo hanno reso meno fastidioso del mio battesimo in Cabo de La Vela. Inoltre, stanotte non sento i cani latrare né il tedioso vallenato proveniente da qualche auto di tamarri colombiani. Ugualmente mi sembra di essere stato sveglio tutta la notte, eccetto qualche minuto di pisolino qua e là. Sarà in mezzo al deserto, ma il Cabo della Vela, almeno in questi giorni di alta stagione, è un’oasi di traffico e rumori, con più auto che animali. Non vedo l’ora di andarmene.

4.55: Suona la sveglia. In teoria la camonieta ci passa a prendere alle 5 del mattino. Che è già un successo di contrattazione, perchè il primo orario che ci è stato proposto è stato le 4. Ho fin troppa esperienza degli orari colombiani per sapere che è sicuro che partiremo più tardi, ma, ahimè, devo farmi trovare pronto comunque.

5.53: Minuto più o minuto meno, finalmente il fuoristrada si mette in moto. Nonostante siamo solo in tre, a farmi compagnia due bogotani che erano con me anche al viaggio di andata, e che dopo aver campato into the wild vicino al faro, sono venuti a passare la notte nel posto della cabanas della signora Wayuu (l’etnia indigena della regione della Guaijra) che era con noi sul fuoristrada. Questa volta mi toccano le scomode panche, perchè il nostro autista, il figlio della Wayuu, ha deciso che non ci vuole sui posti passeggeri.

6.30: Dopo aver rischiato almeno una decina di volte di essere catapultato fuori dalla jeep, ci ricongiungiamo alla via ferrea, che nel viaggio di andata mi aveva incantato al punto da improvvisare un diario in diretta con l’ipod e Evernote. Peccato che questo diario sia andato perso per sempre, e sono successe troppe cose per ricordare quel che avevo scritto, a parte che la prima macchina superata sulla strada era guidata da una sorridente bambina che avrà avuto non più di dieci anni e la cui testa arrivava a metà volante.
Rispetto all’andata abbiamo fatto una strada diversa, parallela alla spiaggia, che ci ha fatto risparmiare la metà del tempo, a prezzo però di un percorso ben più sconnesso e accidentato. Casomai uno avesse voluto dormire un po’, vista l’ora..

07.30: Uribia, fine corsa. I due roli sono diretti al Parque Tayrona, io a Manaure. Prima di salutarci andiamo a fare colazione: per me succo di guiaba e due uva strapazzate che dovevano essere di gallina reale, perchè me le hanno fatte pagare 5000 pesos, anche se va detto che le arepa di accompagnamento, fatte al momento, erano deliziose. Niente a che vedere con la schifezza bianca insapore che ti danno normalmente.

09.20: Finalmente l’auto che mi porterà a Manaure si mette in moto. Sembravamo pronti a partire nel momento in cui ci ho messo i bagagli, invece per i misteri di Ahorita, il dio del tempo colombiano, è rimasto fermo un’oretta. Oretta che comunque ho passato dormicchiando in auto.

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