Vagabonding around the World

5. Magari la prossima volta


Dopo alcuni minuti ad andamento lento per riprendere confidenza dallo shock dell’incidente, sono di nuovo schiena dritta e testa in avanti, teso verso quel cartello Border che più si avvicina e più diventa irraggiungibile come un’oasi nel deserto. A meno di venti chilometri dall’arrivo do’ un’occhiata al tachimetro e mi accorgo che l’indicatore del livello della benzina non potrebbe essere più spostato a sinistra. Rallento e percorro i successivi tre, quattro chilometri a passo d’uomo e sull’orlo di una crisi di nervi, fino a quando non incontro un salvifico benzinaio.

Finalmente mi presento alla dogana alle cinque meno un quarto. Il poliziotto guarda dubbioso l’orologio prima di darmi il permesso di attraversarla, non senza avermi propinato i cinquecento baht di multa per essere rimasto un giorno in più dei trenta indicati sul visto.
Il poliziotto di guardia all’ingresso di Myanmar mi chiede se voglio solo stampare il passaporto o anche vedere e magari passare la notte nel paese di Tachilek, l’unico posto che sono autorizzato a vedere, entrando via terra, da questa giunta di bastardi militari che tiene prigionieri da decenni i vari popoli dell’ex Birmania. Avrei voluto farmi un giretto a Tachilek, ma non c’è più tempo, per cui mi faccio stampare il passaporto per altri cinquecento baht e cinque minuti dopo averla lasciata, sono di nuovo in Thailandia, con permesso regolare per altri trenta giorni. Per vedere la Birmania, magari la prossima volta. Magari senza più giunta militare che ti spia ad in ogni passo.

Venti minuti dopo arriva Francesco a cui è stato detto che la dogana è aperta fino alle 18.30 e non le 17 come credevo io e infatti va anche lui a stamparsi il passaporto in tutta tranquillità. Sono troppo esaurito per reagire male all’ennesima beffa del destino, lo aspetto e gli chiedo di farmi da lepre al ritorno a Chiang Rai. Intossicati dal fumo degli incendi che i contadini appiccano ogni anno in questa stagione nei campi circostanti, provocando una concentrazione tremenda di polveri tossiche e decine persone ricoverate in ospedale per problemi respiratori, torniamo in Guest House che sono passate le 19 e le luci dei lampioni sono già a pieno regime.

Mi disinfetto per bene le ferite, Francesco si cosparge con navigata destrezza il culo di vasellina per alleviare il dolore delle tante ore in sella, ci riposiamo fin oltre le 22.30 e quando usciamo diventa difficile trovare un posto decente per mangiare. Dopo i dieci euro spesi a pranzo al Da Vinci, un’enormità in questo paese, mi rifiuto di andare nell’unico altro ristorante turistico, talmente turistico che espone un menu con i prezz in Euro, e ci rifugiamo in un posto tipo Pizza Hut. Quando andiamo a vedere il Night Market è già tutto smobilitato, per cui mi faccio l’idea che Chiang Rai sia un posto piuttosto deprimente.

Entrambi troppo conciati per pensare a null’altro che buttarci in branda, rimandiamo al risveglio la decisione su cosa fare l’indomani: se farci un giretto nel triangolo d’oro con annessa visita al Museo dell’Oppio come preventivato, prenderci una giornata di totale recupero a Chiang Rai o rimetterci subito in cammino per concludere il nostro giro a Chiang Mai.

Dopo la notte di riposo Francesco sente l’urgenza di tornare subito a casa, al grido di prima finisce l’Odissea e meglio è. Io, pur con le botte e la pancia che reclamano la mia attenzione e mi supplicano di stare un giorno nell’assoluto far niente, acconsento un po’ controvoglia nel rincoglionimento post colazione. Per l’oppio, sarà magari per la prossima volta.

Vai alla 6a parte

Precedente

4. Per un metro

Successivo

6. La guerra dell’acqua

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén