A Ko Phangan non mancano le palme da cocco


La serata finale è stata il simbolo di tutta la settimana: dopo un’ottima cena al ristorante indiano, in cui ci siamo fermati due ore abbondanti, appena alzatici in piedi la prima ad avere problemi di stomaco è stata l’austriaca Barbara.

Appena smesso di compatirla dopo che aveva vomitato, io e la neozelandese abbiamo cominciato a sentire gli stessi sintomi. L’unico tranquillo era Dominik, troppo pieno di “weed” per avere preoccupazione alcuna.

La brezza di Sunset Beach e gli esercizi di meditazioni appresi a lezione solo il giorno prima mi hanno salvato dal sempre umiliante ricorso alla pratica “number 3”. Poco dopo mezzanotte mi sono coricato a letto, fiducioso di potermi alzare 5 ore dopo per prendere la barca e lasciare l’isola senza problemi.

Concludendo: una settimana difficile, in cui mi è arduo dare un giudizio su Ko Phangan senza farmi condizonare pesantemente dalla variabile fondamentale “tempo di merda” e i miei problemi personali di adattamento. Rimane la sensazione di un posto meno bello di quello che mi aspettassi, in cui credo tornero’ solo per il full moon party.

(rileggerlo 8 anni dopo e dopo averci passato mesi mi vien da ridere. Oggi se dovessi consigliare un solo posto di mare in Thailandia consiglierei Ko Phangan)

Mettiamola così: tra la colorita fauna che a queste latitudini prende possesso del bagno, anche se e’ quello di un resort a 5 stelle, il non parlare mai italiano, il violento attacco di psoriasi (fortunatamente quasi compoletamente debellato), i monsoni, cazzi e mazzi vari, è stata la mia settimana d’adattamento in cui c’e da pagare l oscotto.

Se è così non mi è andata nemmeno tanto male.