Se non fosse che qui a Tachilek tutto viene pagato da tutti in baht, e quando dico tutti intendo anche i locali, non solo i turisti, non avrei dubbi sul fatto che sono in Myanmar. Anche se da queste parti sono pochi gli uomini che portano il longyi, invece quasi tutte le donne hanno il viso spalmato di quella strana pasta gialla, che presumo sia per proteggersi dal sole, e molte di loro sputano per terra senza nascondersi, un altro brutto costume che per fortuna le thailandesi non hanno.

Tachilek segreta: foto esclusive!

Una città di frontiera in cui passare un giorno e mezzo: questa è la mia esperienza di quel che una volta era Birmania, parzialissima ma è sufficiente per farsi un’idea, oltre che soprattutto a risparmiarmi un ulteriore visa-run prima di lasciare la Thailandia.

Tachilek city of the golden triangle” annuncia pomposo un cartellone nella piazza centrale. Siamo nel cuore del triangolo d’oro, la regione al mondo dove una volta si produceva la più grande quantità d’oppio e per il cui controllo si è insediata la giunta militare, vicina alla Cina, che ha ridotto questo paese nella miseria.

Nonostante siano stati decimati in tutta la nazione, perchè il “nemico” più temuto dai militari, si vedono ancora un discreto numero di monaci buddisti per le strade di Tachilek, che seppur nello stato Shan, è un melting pot come tutte le città di frontiera. Poco dopo la piazza mi imbatto infatti in una moschea con scritte in cinese, mentre l’influenza della vicina India si nota nelle numerose case da tè, anche se il tè e il caffè, serviti con latte condensato, richiamano più il modo in cui viene preparato in Vietnam.

L’altra usanza indiana è nel consumo diffuso di Paan, un miscuglio di foglie di betel, tabacco, chewingum, che pare sia l’equivalente asiatico delle foglie di coca e funzioni come stimolante; di sicuro stimola la distruzione dei denti: potete riconoscere un consumatore abituale dai suoi canini color rosso sangue. Un impacco di Paan costa solo 1 baht, lo mastichi un quarto d’ora e poi lo sputi.

L’ho provato (e sputato) (un po’ schifato) grazie a Bahadur, la mia guida non ufficiale.

Il primo incontro con questo omino di origine indiana arrivato da Rangoon, che, essendo uno dei pochissimi in questa cittadina che parla un discreto inglese, si arrabatta come guida clandestina, l’ho avuto al mercato appena passata la frontiera, mentre mi stavo dirigendo al 9 star hotel, l’unico alloggio di cui avevo referenze. Bahadur mi ha proposto una guesthouse alternativa, gli ho risposto che prima andavo a vedere le stanze al “9 star” ed eventualmente tornavo da lui. Dato che il 9 star mi proponeva stanze piccole con ventilatore a 500 baht, ero felice di farmi mostrare quel che mi offriva alla metà del prezzo, ma dove l’avevo lasciato, dieci minuti dopo era già sparito.

Dove adormire a Tachilek

Lo rincontro per caso il giorno dopo alle 5.30, mentre sto per andare a farmi un tè alla tea house più frequentata del paese. Chiacchieriamo, mi sembra una persona onesta, e dopo avermi spiegato cosa c’è da fare e vedere a Tachilek e dintorni offrendosi di farmi da guida, dopo il mio gentile rifiuto motivato dal fatto che domani mattina torno in Thailandia, mi propone di farmi compagnia gratis, se voglio provare cibo e birra locale. Gli dico che dopo il tè volentieri, anche perchè intuisco la possibilità di liberarmi della moneta locale in modo più nobile della donazione a un monaco qualunque.

A Tachilek tante pagode e una mosche cinese

Ignaro del fatto che nessuno accetta i Kyats, questo è il nome della valuta locale, stamattina avevo cambiato dieci dollari in banca, l’unico modo di ottenere denaro qui, dove non ci sono bancomat o vengono accettate carte di credito. Così Bahadur mi porta in un ristorante un po’ nascosto, con ampia scelta di cibo e ci riempiamo la pancia, ci diviamo una bottiglia da 66cl di Myanmar beer tiepida (senza infamia né lode) e il conto ammonta a 180 baht, che riesco a pagare con la banconota da 5000 kyats di cui volevo liberarmi.

Fondamentalmente l’unica ragione per cui venire a Tachilek è lo shopping, ma i prezzi non mi sono sembrati per nulla economici, se escludiamo l’elettronica di importazione cinese, la cui NON affidabilità peraltro è proverbiale. Ogni volta che entro in un negozio poi, c’è un commesso che mi si attacca letteralmente alle spalle e mi segue come un’ombra a non più di dieci centimetri: non il modo migliore per invogliarti a comprare.

In realtà grazie a Bahadur ho scoperto che basta uscire dal paese per andare a vedere una bella pagoda o un villaggio Karen con le donne longneck, dove chiedono la metà dei soldi che in Thailandia. Ma come quella volta che venni da queste parti alcuni anni fa, magari la prossima volta…