da piccolo ero un Calimero col fagotto


Sono nato per viaggiare. E il fatto che, pur essendo un bambino molto tranquillo cresciuto un minuscolo appartamento nel centro di Milano, alla tenera età di 3 anni il mio gioco preferito fosse quello di prendere una tovaglia, riempirla del necessario, fare fagotto e partire in cerca di nuove avventure, credo sia un segnale inconfutabile di quale sia la mia natura. Ero attratto dall’ignoto, curioso e appassionato verso il mondo la fuori.

Sia stato questo impulso il risultato di desiderio di evasione dalla realtà, la molla che spinge a viaggiare a detta di alcuni, non so. La mia infanzia, a meno di eventi traumatici tuttora rimossi e a me sconosciuti, è stata tranquilla e felice fino all’età di 7 anni, quando improvvisamente si separarano i miei genitori. Quindi nel mio caso escluderei che questo impulso a viaggiare fosse figlio di mancanza d’affetto, un fuggire da me stesso o da una madre troppo severa.

La cara mamma, preoccupata però di un figlio dallo spirito così avventuriero, decise che ero troppo indipendente e quando un giorno nel salire dalla porta le annunciai che il motivo della mia gita quotidiana era la ricerca di un’altra mamma, mi chiuse l’uscio a chiave e al ritorno mi lasciò fuori a piangere per ore fino a quando non giurai solennemente che non avrei mai più cercato un’altra mamma.

Questo episodio calmò anche la mia sete di avventura. Almeno fino all’età di 17 anni, quando al termine di una stagione scolastica di forti travagli adolescenziali e in cui scoprii l’amore per la letteratura e la scrittura, il demone assopito si risvegliò.