Se non fosse che qui a Tachilek tutto viene pagato da tutti in baht, e quando dico tutti intendo anche i locali, non solo i turisti, non avrei dubbi sul fatto che sono in Myanmar. Anche se da queste parti sono pochi gli uomini che portano il longyi, invece quasi tutte le donne hanno il viso spalmato di quella strana pasta gialla, che presumo sia per proteggersi dal sole, e molte di loro sputano per terra senza nascondersi, un altro brutto costume che per fortuna le thailandesi non hanno.
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Dopo alcuni minuti ad andamento lento per riprendere confidenza dallo shock dell’incidente, sono di nuovo schiena dritta e testa in avanti, teso verso quel cartello Border che più si avvicina e più diventa irraggiungibile come un’oasi nel deserto. A meno di venti chilometri dall’arrivo do’ un’occhiata al tachimetro e mi accorgo che l’indicatore del livello della benzina non potrebbe essere più spostato a sinistra. Rallento e percorro i successivi tre, quattro chilometri a passo d’uomo e sull’orlo di una crisi di nervi, fino a quando non incontro un salvifico benzinaio.